Nel silenzio assoluto del Governo e del Parlamento italiano, in Libia il generale Haftar (il dominus della Cirenaica fortemente sostenuto da Parigi) sta per prendere il controllo del più importante sito di estrazione di ENI, El Feel (giacimento Elephant), dopo che il 12 febbraio il suo Libyan National Army (LNA) ha sloggiato le forze fedeli al governo di al-Sarraj dal vicino sito di Sharara (Repsol, OMV, Total, Equinor). Da notare che l’impianto di Sharara fornisce l’energia elettrica a quello di El Feel, quindi controllando il primo è possibile bloccare l’attività del secondo. In ogni caso anche El Feel potrebbe molto presto essere attaccato, poiché, come ha dichiarato il portavoce dell’LNA, le operazioni non si fermeranno finché non saranno occupati tutti i campi petroliferi.
Questa nuova offensiva del Libyan National Army nel Fezzan è stata lanciata il mese scorso e ha portato alla conquista, tre settimane fa, anche del capoluogo Sheba. A farne le spese sono state le tribù Tebu (alleate del GAN – Governo di Accordo Nazionale – e in ottimi rapporti con l’Italia) che si sono scontrate con l’LNA e le milizie Tuareg alleatesi con Haftar, tanto che il 9 febbraio il Consiglio supremo berbero della Libia ha chiesto alla missione ONU (UNSMIL) di intervenire denunciando anche attacchi aerei dell’LNA sui villaggi Tebu. Secondo alcuni report, sarebbe in corso una vera e propria pulizia etnica, tanto che al-Serraj il 14 febbraio ha denunciato l’LNA all’ONU per crimini di guerra. L’LNA, infatti, oltre ai Tuareg e a mercenari sudanesi, sta impiegando nell’operazione anche milizie storicamente nemiche dei Tebu: la Awlad Suleiman e la Zwai.
Attualmente le forze del generale Ali Kannah (fedele al Governo di Accordo Nazionale), dopo essersi ritirate da Sheba e poi da Sharara, sono attestate a El Feel. Fino a oggi Kannah ha evitato di ingaggiare scontri diretti con l’LNA perché troppo inferiore militarmente e perché restio a scontrarsi con le milizie tuareg, visto che anch’egli appartiene a quel gruppo etnico.
Le milizie tebu (fedeli al GAN), che hanno garantito la sicurezza di El Feel fin dal 2013, starebbero organizzando una linea difensiva a protezione della vicina cittadina di Murzuq, dove sarebbero già arrivati diversi feriti, alcuni dei quali dovrebbero essere evacuati a Tripoli per via aerea, cosa resa impossibile dalla no-fly zone illegalmente imposta dall’LNA nel sud della Libia dallo scorso 7 febbraio.
Da sottolineare che contestualmente all’offensiva dell’LNA, aerei francesi hanno effettuato alcune operazioni in Ciad, nei pressi del confine libico. In particolare, il 7 febbraio cacciabombardieri francesi hanno colpito un convoglio armato di 40 veicoli che, proveniente dalla Libia, era penetrato in territorio ciadiano, uccidendo almeno 48 persone.
Il 13 febbraio Mohamed El-Sallak, portavoce di al-Sarraj, ha dichiarato che aerei statunitensi, in collaborazione con le forze del GAN, hanno colpito bersagli di al Qaeda nei pressi di Ubari (non lontano da Sharara). Gli Stati Uniti, tuttavia, hanno smentito di aver condotto operazioni nella zona. Poco dopo, comunque, il governo degli Stati Uniti ha rilasciato una nota condannando le violenze in corso e la prolungata chiusura degli impianti petroliferi, sottolineando come gli impianti devono rimanere “sotto il controllo esclusivo della National Oil Company (NOC) e la supervisione del solo Governo di Accordo Nazionale, come sottolineato dalle Risoluzioni 2259 (2015), 2278 (2016) e 2361 (2017) del Consiglio di Sicurezza dell’ONU”. Washington, dunque, si è apertamente schierata al fianco del GAN.
Con quest’offensiva Haftar ha inferto un duro colpo al GAN, ponendosi in una posizione di forza in vista dell’imminente Conferenza Nazionale e delle elezioni previste entro l’anno, ma è probabile che voglia completare l’occupazione militare del Fezzan e della Tripolitania, fermandosi, forse, solo a un passo da Tripoli, per poi andare a elezioni con la vittoria in tasca. Va da sé che, in cambio del supporto offerto ad Haftar, Parigi potrà ottenere per la Total le concessioni che oggi sono dell’ENI.
Oggi l’ENI è ancora di
gran lunga il primo produttore di petrolio nel paese. Nel 2017 ha raggiunto i
400.000 barili al giorno, superando ampiamente il livello dei primi mesi del
2011 (280.000 barili, poi crollati a 50.000 dopo il conflitto), e ciò anche
grazie agli accordi siglati con la NOC (National Oil Company) e il Governo di
Accordo Nazionale (GAN), di Fayez al-Sarraj. Ma l’attivismo militare del
generale Haftar ha portato a un’inversione di tendenza. Nel 2018 il
generalissimo ha condotto una campagna di conquista dei terminal petroliferi dell’Est,
la cosiddetta “mezzaluna petrolifera” da cui parte più del 60 per cento della
produzione di greggio del paese, e ha occupato anche gran parte della regione
meridionale del Fezzan, dove si trovano i campi petroliferi gestiti dall’ENI.
Non è un caso se la produzione dell’ENI lo scorso anno è scesa a 280.000 barili
giornalieri.
La forza di Haftar deriva dall’aver ottenuto, nonostante l’embargo ONU in vigore dal 2011, ingenti quantitativi di armi, veicoli blindati e aerei da attacco. Il generale, inoltre, ha sempre goduto di un forte supporto, anche dal punto di vista militare, della Francia che, tramite Haftar, cerca di perseguire quegli obiettivi che non è riuscita a conseguire con l’abbattimento del regime di Gheddafi nel 2011. Il rapido rafforzamento dell’LNA non è stato controbilanciato da un altrettanto rapido potenziamento delle forze a disposizione del GAN, le cui milizie non hanno avuto accesso a nuovi armamenti, nonostante le ripetute richieste del legittimo governo di Tripoli di un allentamento dell’embargo. Il problema principale, tuttavia, sta nel fatto che mentre Parigi non ha lesinato sforzi per espandere la propria influenza sulla Libia, Roma non ha saputo proteggere i propri interessi con altrettanta energia.
Ormai stanno venendo al pettine i nodi di una politica estera troppo blanda e discontinua. È di vitale importanza, per stabilizzare la Libia, paese nel quale regna il caos da ormai otto anni, che il nostro paese dia continuità a una politica estera che non muti ogni qual volta ci sia un’elezione politica. Non è possibile modificare la strategia ogni volta che si insedia un nuovo Governo, in questo dovremmo prendere esempio dai paesi d’oltralpe, i quali mantengono una politica lineare.
Il risultato della nostra inconcludenza è sotto gli occhi di tutti: la Francia, nazione con enormi interessi economici in Africa, sposta indisturbata le sue pedine sulla scacchiera degli scenari libici e non solo, senza avere il benché minimo pensiero di confrontarsi con la NATO e con l’Italia, la nazione che del caos libico subisce maggiormente le conseguenze, con i flussi migratori inarrestabili e un impatto negativo sull’economia e l’approvvigionamento petrolifero.
Gli interessi italiani in Libia sono strategici e vanno difesi con la necessaria forza. Il governo italiano deve prendere una posizione immediata, netta e definitiva, condannando l’aggressione perpetrata dalle forze di Haftar e sostenendo, anche militarmente se necessario, il Governo di Accordo Nazionale.
Il Governo italiano deve comprendere la posizione geograficamente strategica del nostro paese deve essere sfruttata per divenire il fulcro di tutte le decisioni strategiche politiche internazionali che riguardano gli affari del Mediterraneo.
Il Governo deve investire economicamente e politicamente nella stabilizzazione della Libia: i risultati di questi investimenti li vedremo a breve termine con la riduzione del flusso migratorio e la difesa degli interessi nazionali.
Non è più tollerabile che si lasci nelle mani altrui la crisi libica, questo è il momento per dimostrare coraggio e mettere in campo capacità e competenze con tecnici, mediatori e militari di cui tanto ci vantiamo e che il nostro paese detiene.
Tatiana Basilio